martedì 30 giugno 2015

African Anschluss


"[…] Così, quando studia i grafici della Grecia e richiede misure che sa benissimo potrebbero significare che le donne non avranno accesso agli aiuti alla maternità, i pazienti ai farmaci salvavita e gli anziani all’ assistenza, è in grado di fermarsi e considerare questi costi?
"No, penso piuttosto ai bambini di una scuola nel piccolo villaggio in Niger che hanno solo due ore di lezione, si dividono in tre una sedia ma sono assai felici di ricevere un’educazione. Penso a loro continuamente, perché penso che abbiano ancor più bisogno di aiuto della popolazione di Atene.” (Christine Lagarde, intervista al Guardian, 2012)
Bisogna capire la Weltanschauung di madame Lagarde, che è poi quella del Grande Fratello quando ci racconta l'Africa, perché essa è viziata dalla visione del bimbo nero scheletrico del Biafra che ha segnato la mia e la sua infanzia (Christine è del 1956). "Mangia tutto, pulisci il piatto, pensa ai bambini che muoiono di fame in Africa!" rimproveravano quotidianamente noi borghesucci a tavola mentre assaporavamo la morbidezza del vivere graziosamente offertaci dalla maestà imperiale attraverso il generale Marshall. Noi che eravamo stati salvati dal carro armato americano ed avremmo dovuto essergli grati per sempre. 

Christine probabilmente ha ricevuto un altro tipo di messaggio, più sofisticato e meno brutale, fatto di raccolte di beneficienza per i poveri del mondo, di elemosine con la mano ingioiellata, ma anche lei una volta ha dovuto confrontarsi con l'unica immagine simbolica che allora proveniva dall'Africa, da allora impressa per sempre nel nostro inconscio, quella di un esserino mai baciato nemmeno dal grado minimo di fortuna rappresentato dal riuscire a sopravvivere alla propria infanzia. Un'immagine che è diventata il brand di comodo dell'Africa, il simbolo di un'entità sottomessa e da sottomettere, vittima, poverissima e di quella povertà che non si rimedia. Bisognosa di aiuto ma soprattutto di quella orribile cosa che è la carità. Una roba viscida e pelosa che, soprattutto, non altera gli squilibri del mondo in termini di giustizia e parità di trattamento degli uomini e dei popoli ma serve tanto a sentirsi buoni di quella bontà che non ti impedisce poi, da vecchia, di non riuscire a provare nessuna pietà per lo stesso bambino, non africano questa volta, ma greco.
“Utilise-moi pendant le temps qui te convient et convient à ton action et à ton casting”, scriveva Christine al suo Valmont Nicholas, a proposito di sottomissione, mentre assieme pensavano a come sarebbero riusciti a sedurre e piegare ai propri voleri di creditori quell'ennesimo paese così grazioso ed ingenuo. In fondo il gioco con il nostro destino potrebbe non essere altro che il sadico passatempo dell'aristocrazia, ci avete mai pensato?

Ecco, nei giorni della Passione della Grecia, che sta assaporando, oltre alla durezza del vivere, il flagrum della UE, prima dell'esito del referendum che dovrà decidere chi salvare tra Gesù e l'euro, ricordandomi della frase di Madame Lagarde sui suoi negretti del Niger e sull'onda della discussione sul fenomeno dei migranti, mi è venuta una gran voglia di andare oltre l'archetipo del piccolo biafrano e di scoprire cosa possa essere veramente l'Africa oggi e se, tra le ragioni di questi esodi biblici e castighi divini comminati ad interi popoli, in Europa come in Africa (e nel resto del mondo) non vi sia per caso la stessa origine, lo stesso meccanismo perverso. 

Grazie alla sincronicità e ad una recente conoscenza fortunosamente trovata in quei social che di solito assomigliano più a discariche che a fonti di informazione ma che inaspettatamente ti fanno trovare anelli d'oro in mezzo alla melma, ho potuto scambiare via mail alcune impressioni con F.K., un'italiana che in Africa vive e lavora da molto tempo, e che può fornirci una visione diversa, molto più sfaccettata e multicolore, della complessa realtà del continente, al di là della vischiosa propaganda di regime, ricordandoci inoltre e soprattutto che l'Africa ha una storia ricca e corposa che non è affatto conclusa ma che deve ancora in pratica esprimere tutta la sua potenzialità.
Ho posto a F.K. alcune domande. Prendetevi tempo per leggere tutto e meditare sul perché, riguardo alla realtà africana, riceviamo solo, quando va bene, una sua interpretazione, per giunta distorta dalla propaganda. Oggi avete l'occasione di ascoltare una versione diversa di quella realtà che, personalmente, mi ha arricchito molto. Buona lettura.

D. La quotidiana narrazione mediatica del fenomeno migratorio ci parla indifferentemente di “disperati che fuggono da fame, disperazione e morte” che devono essere accolti a prescindere, visto che sono, in quanto migranti, “risorse” preziose per l’economia del nostro paese.
Tra le migliaia di immigrati che giungono in Europa, transitando per l'Italia, solo però una minima parte di essi alla fine risulta effettivamente costituita da profughi provenienti da zone di guerra e da paesi soggetti a repressione politica. La maggioranza sembra invece composta da "migranti economici", che provengono da paesi sicuramente poveri ma non in stato di guerra e che quindi non possono essere definiti tecnicamente profughi ma che tuttavia cercano di farsi passare per tali, contando sulle politiche assai generose di accoglienza attuate nei paesi come il nostro, per il quale l’immigrazione è anche diventata – lo stiamo purtroppo scoprendo attraverso alcune inchieste giudiziarie – un fecondo ed assai remunerativo business per quella che si sta strutturando come l’Industria dell’accoglienza. Affare addirittura più redditizio di quello della droga, pare.

R. Dobbiamo infatti distinguere tra i veri poveri del secondo e terzo mondo, che sono miliardi e che non riescono nemmeno a mangiare ogni giorno (inclusi parecchi occidentali), da chi ha a disposizione migliaia di euro per pagarsi il passaggio in Europa attraverso le organizzazioni di trafficanti di esseri umani. In paesi dove il reddito pro capite medio del 90% della popolazione e' inferiore a 2 dollari al giorno, chi avesse pure anche solo 1000 $ per lo scafista, beh, non lo si può proprio considerare un indigente affamato. 
Ciò che succede quasi sempre in quei casi è che famiglie che qualche mezzo lo hanno mandano i figli all’estero a procurarsi un'entrata supplementare in valuta pregiata, che ritornerà loro attraverso i canali dei money transfer. Questi giovani partono senza visto (perché è più facile, dichiarandosi rifugiati, ottenere il permesso di soggiorno, e ciò evita anche le lunghe file agli sportelli dei consolati europei, la cui risposta alla domanda di immigrazione è spesso negativa.) 
Chi conosce la realtà dei paesi da cui partono questi giovani sa che in teoria quasi nessuno potrebbe permettersi di andarsene. E che anche chi potrebbe, non vuole. Il perché ci sia stata un'impennata esponenziale di arrivi di barconi e' probabilmente dovuto alla presenza di condizioni favorevoli, come il caos in Libia che ha seguito lo sciagurato assassinio di Gheddafi da parte di USA e Unione Europea. E, ipotizzo, la necessità di finanziare velocemente gruppi terroristici, di miliziani e predoni vari. 
Il mio punto di vista si basa sull'osservazione della realtà in Repubblica Democratica del Congo, paese funestato da invasioni e guerre a causa delle quali ha perso 6 milioni di civili, in cui i predoni di ricchezze continuano ad uccidere e provocare decine di migliaia di sfollati, sia all'est che nei paesi vicini. La maggioranza della popolazione vive in miseria ma, per cambiare le cose sul posto, bisognerebbe finanziare piccoli progetti comunitari sia nei villaggi - i cui abitanti fuggono in città perché con la globalizzazione i loro prodotti sono più cari sul mercato, rispetto alle merci importate - che nelle grandi metropoli. 

Le rimesse dei pur numerosissimi emigranti in Europa, Canada, USA non creano posti di lavoro, ne' sono di utilità agli altri che non ne ricevono (cioè la maggioranza). La famiglia, con le rimesse dall'estero, ci paga un matrimonio, un funerale, ci compra la macchina, ci paga le medicine o la scuola ai propri figli e nipoti. Tutto resta in famiglia, al massimo allargata. Quasi nessun emigrato nei paesi ricchi ha costruito fabbriche al suo paese per dare lavoro ai connazionali. L'egoismo consumistico regna tra i figli delle classi che hanno un minimo di potere d'acquisto, e se queste saranno le nuove classi dirigenti, in pochi decenni dell'Africa con foreste pluviali, fiumi e laghi maestosi, non resterà' un bel niente. Sono assai più vogliosi di noi di capitalismo distruttivo. Della gente 'normale', cui basterebbe vivere bene, magari con l'elettricità e senza i-Phone o Nike da 200 euro al paio, ai grossi investitori non importa. L'immagine veicolata dai media è appunto lo stereotipo del santo migrante, del poveretto in fuga da guerra e fame che si sacrifica ed inonda il paese d'origine di euro di rimesse - che se andassero a finanziare davvero i piccoli progetti, allevierebbero si' la VERA miseria dei più- mentre la verità è che la maggioranza dei migranti sono giovani assetati di consumismo e di capitalismo, che dei loro compatrioti in pratica se ne fregano."

D. Sembra quasi, quindi, che la migrazione economica sia un fenomeno che riguarda quella che potremmo definire, la classe media africanaEffettivamente le cifre di cui si parla per il pagamento dei “passaggi” verso il Mediterraneo sui famosi barconi sembrano illogiche, tanto sono alte in rapporto al reddito pro capite dei paesi d’origine, cosicché a volte viene la tentazione di pensare che possa perfino avvenire il contrario, ovvero che sia il trafficante a reclutare, pagandoli, gli aspiranti migranti.

R. Qui vorrei per prima cosa dire che il mercato dei migranti, in Africa, e' davvero un fenomeno eterogeneo, complesso, specifico a seconda del paese. In Europa si tende ad avere una visione piuttosto uniforme di una realtà che e' invece assai variegata.
Innanzitutto, le caratteristiche del business sono diversissime tra paesi islamici e paesi cristiani. In questi ultimi, il canale per emigrare e' quello fornito dalla Chiesa Cattolica attraverso visti regolari per studio, per pellegrinaggio, giubileo, e simili. 
Chi accede ai canali illegali è principalmente localizzato nei paesi islamici o a forte maggioranza islamica.
Sono reti estremamente complesse, i cui membri non si conoscono tutti fra loro ma che possono lavorare in sinergia.
I referenti in Europa sono forse il pezzo più importante di queste reti. Infatti si occupano di instradare a destinazione finale, procurare lavoro, fornire documenti falsi e cambiare identità e fornire indicazioni precise, anche all'ultimo momento, su come muoversi. Parecchi europei, ed italiani, collaborano attivamente a queste attività logistiche.
La parte africana e' pure complessa. Non e' da tutti arrivare al contatto da cui poi si inizia l'operazione. Purtroppo le mie informazioni sul traffico di clandestini nei paesi musulmani non e' aggiornato. Mi baso su notizie apprese da persone che conoscevano qualcuno o avevano fatto il viaggio personalmente partendo da paesi della costa atlantica.
Alcune di queste informazioni sono ancora valide, di altre non posso garantire.
Molti usano passaporto e permesso di soggiorno falsi di chi già vive in Europa, di un regolare, insomma. Esistono organizzazioni che affittano documenti veri con i quali ottenere facilmente il visto al consolato europeo di destinazione.
Poi ci sono i finti ricongiungimenti familiari, espediente usato per la tratta di prostitute o di schiavi. ( Non più in catene ma gente che verrà costretta a lavorare gratis in Europa o, più spesso, nei paesi arabi.) Questi clienti però sono coloro che arrivano normalmente in aereo.
Chi usa il percorso di viaggio che finisce agli imbarchi sulle coste libiche o dell'Egitto (Sinai) è di solito quello meno fornito di denaro. E qui posso solo dirti la mia personale opinione, testimonianze dirette non ne ho.
Può essere possibile che alcune famiglie alla disperazione 'vendano' i figli ai mercanti di carne umana. Ci sono parecchi casi riportati sul web. Ma da qui a pagare per farsi mandare in Europa, secondo me, ce ne corre.
Chi non ha mezzi per pagare la logistica che lo porta, a volte percorrendo più di 1000 km e superando clandestinamente diverse frontiere, può in certi casi posporre il pagamento, se vengono fornite garanzie sufficienti che esso sarà effettuato. Molti però preferiscono fare collette tra i membri del clan, spesso formati da decine di persone, e pagare, senza problemi. I nordafricani chiedono prestiti anche loro, se non ce la fanno, ma che ci siano persone pagate per auto-deportarsi, a me personalmente non risulta.

Che TUTTI i clienti dei trafficanti siano figli di famiglie 'mediamente agiate', di borghesia africana insomma, anche se chi finisce su un barcone di sicuro non è in miseria, lo escludo, perché tra questi migranti economici ci sono storie e tipologie diversissime.
Si va dal piccolo commerciante cui il consolato rifiuta il visto, all'ex miliziano in fuga; dal figlio di famiglia di agricoltori della provincia che viene mandato in Europa dopo che la famiglia si è venduta i campi per farlo, al giovane degli slums, già' coinvolto in attività' illegali. Davvero un'umanità molto eterogenea. Non sfollati in fuga, non cenciosi affamati ma nemmeno l’esodo della 'borghesia africana' che abbandona a milioni il continente. Non lo penso.
Molti di questi ragazzi sono presi, si, ma dal sogno consumista alimentato dalle multinazionali, dal mito 'amerikano', più che del mito europeo, insomma. E sono anche irretiti dai racconti fantasiosi di altri che hanno fatto il viaggio prima di loro, tutto qui.

D. Hai accennato prima a cosa si potrebbe fare in concreto per aiutare l'Africa. Mi pare di capire che bisogna insegnare a pescare, piuttosto che moltiplicare pani e pesci?

R. Mi viene da risponderti che gli africani pescherebbero molto bene ma non hanno l’attrezzatura da pesca.
Teniamo conto di una cosa: quando gli stati africani divennero indipendenti, il gap tecnologico, economico, di modi di vita ecc. con il resto del mondo, era ancora enorme.
Non bisogna dimenticare che questo continente è passato, sopratutto nella sua parte sub-sahariana, da modi di vita e di organizzazione politica, sociale, economica, ben antecedenti a quelli preindustriali a modelli da seconda rivoluzione industriale! In Europa la transizione dalle società' pastorali e agricole ha richiesto migliaia di anni, no?
Recuperare in poco più di un secolo questo immenso divario era francamente impossibile.
Si è passati direttamente e senza transizione dal tam tam (paradossalmente, sto esagerando) al tablet. Per capire l’eterna dipendenza dall'esterno ed il neocolonialismo, va compreso bene che si è trattato di un processo storico violento, artificiale e negativissimo per chi lo subiva.
In Africa sahariana, in alcuni paesi della costa atlantica e del Corno, già da secoli esistevano scambi commerciali e contatti con stranieri come arabi, indiani e persiani. Ma pensiamo al Congo, tagliato fuori dal mondo per millenni, e ad altri paesi dove il tipo di società si era conservato intatto, quasi senza relazioni col mondo esterno.
Ciò che è successo è che, avendo a che fare con forme di produzione mirate all'autosufficienza, basate su agricoltura, caccia, pesca e piccolo commercio locale, ci si è poi ritrovati con la propria vita sconvolta dai colonizzatori e dallo sfruttamento nelle miniere o ai lavori forzati per costruire ferrovie, porti, strade.
Mi devi credere, si tende ad avere pregiudizi, su queste cose. Nessuno che si ponga mai la domanda se il passare da un modello primitivo all'economia globalizzata, finanziaria e virtuale, nel giro di due secoli circa, non abbia potuto avere delle conseguenze disastrose.

Il cambio di governance mondiale seguito alla fine della guerra fredda, ha provocato la fine degli aiuti ai paesi che prima servivano a Nato ed USA in chiave di baluardo anticomunista, con effetto-miseria sulle popolazioni urbane e anche contadine. Le politiche del FMI, con i prestiti in cambio di privatizzazione di tutto il pubblico, apertura delle frontiere agli “investitori” stranieri, i tagli alla spesa pubblica, con la scure sugli aiuti per i programmi di alfabetizzazione, istruzione per le ragazze, sovvenzioni alle comunità locali per sementi, attrezzi, ecc., insieme all'imposizione della caduta delle barriere doganali, all’invasione di prodotti stranieri a basso prezzo, lo sbarco della finanza e delle multinazionali hanno provocato la fuga in massa dai villaggi, con l'abbandono di attività di tipo tradizionale, e la nascita di mega città', con slums infernali, da dove si esce solo dandosi ad attività illegali. 
Nonostante ciò, qualche agricoltore, pescatore e allevatore e' rimasto e finanziare piccoli progetti locali per attività che creano posti di lavoro e rendono autosufficienti i membri di comunità, ed è l'unico modo per ridare speranza ai più.
Nonostante le apparenze, è solo una minoranza che ha smesso di amare il suo paese. Anche nelle megavilles ci sono piccoli progetti di quartiere, di zona, per la creazione di lavoro. Officine meccaniche, piscicoltura sul fiume, appezzamenti di coltura ad energia solare. Vi fosse solo un minimo di impegno da organismi come la UE e si leverebbe dalla dipendenza esterna e dalla condanna alla migrazione qualche buon milione di africani. 

D. A proposito di investitori stranieri. Si è parlato di un ruolo importante della Cina - che sta costruendo intere città in Africa, non tutte certo per gli africani ma per propri futuri coloni, è il sospetto - nella spinta all'emigrazione africana verso l'Europa.

R: Qui in RDC i rapporti con la Cina esistono fin dagli anni '60, e si e' trattato, a quei tempi, di una vera cooperazione, coi cinesi che costruivano strade, ospedali, progetti agricoli, creando anche qualche posto di lavoro per i congolesi. Ma era all'epoca in cui non era ancora stata avviata l'epocale trasformazione capitalista dell'economia di Pechino. Ora i cinesi vengono come imprenditori privati e si aggiudicano spesso dal governo di Kabila appalti per opere pubbliche importanti. I loro prezzi e condizioni sono vantaggiosi, lavorano bene, costano meno. Ci sono anche tante società, sia cinesi che miste, e grandi e piccoli commercianti cinesi. Questi ultimi fanno concorrenza ai congolesi, visto che il governo ha da anni aderito alle politiche liberomercatiste, di libera circolazione di merci, capitali e umani, sia a livello di organizzazioni interstatali, che di partenariato tra stati. La concorrenza cinese, ma non solo, anche quella indiana, pakistana e mediorientale, perché la realtà è molto articolata, hanno sicuramente contribuito al fallimento di piccole industrie e attività' manifatturiere congolesi. Esattamente come vediamo accadere in Europa, i paesi emergenti vincono la guerra dei prezzi al ribasso. Il fenomeno e' uguale negli altri paesi dell'Africa. Più il paese e' ricco di risorse, più arrivano miriadi di piccoli e piccolissimi commercianti dalla Cina, che costringono a chiudere bottega i piccoli e medi commercianti, o gli artigiani locali.
Non si tratta di un effetto-Cina, ma bensì di un più generale effetto “libero mercato”. 

D. La politica africana è proprio solo corruzione e malaffare – come raccontano, non senza un certo razzismo, i media occidentali? E i grandi movimenti progressisti che hanno conquistato l'indipendenza dei vari paesi in passato non trovano voce, come accade altrove, per opporsi alla spoliazione del proprio continente da parte della globalizzazione?

R. In gran parte la corruzione c’è. Oggi più che mai, vista la caccia che si e' scatenata per la conquista delle ricchezze del continente, con la fine degli ideali nazionali, dell'orgoglio nazionale, dello stato forte che si occupa dei suoi cittadini e con il sopravvento del libero mercato, la calata di investitori da tutti gli angoli del mondo, soprattutto lo sbarco della grande finanza e delle multinazionali USA e non solo, la politica e' diventata il sistema più rapido per arricchirsi.
Ora che tutto e' stato privatizzato, poi, la funzione dei governi pare più quella di fare da 'hostess' agli investitori stranieri più che di occuparsi dei propri connazionali. Anche George Soros è entrato pesantemente nel gioco.
La sua versione africana delle 'Open Societies', sotto forma, come sempre, di fondazioni per i diritti umani e civili, la condizione femminile, ecc., dopo essersi inserita bene nei paesi di lingua inglese ora comincia a immischiarsi anche della politica dell'area francofona con continue intromissioni e acquisti ( non solo alla causa) di politici emergenti e non.
Gli onesti ci sono, in politica. A volte riescono anche a prevalere. Ad esempio, in Burkina-Faso, un anno fa, è stato cacciato a furor di popolo e in nome di Thomas Sankara, un governo corrotto, ma il Burkina, come già' spiegato, non ha ricchezze, non interessa agli investitori. La politica in Africa raramente permette che emergano le vere questioni in gioco, ovvero le questioni strutturali. Tutti fanno grandi promesse, ma poi niente cambia.
La famosa democrazia, tanto strombazzata, non ha cambiato niente sul terreno delle condizioni della gente.
Finché la ricchezza continuerà ad essere espropriata ai pochi e a finire fuori dai paesi africani, nulla cambierà. Anzi, paradossalmente, come già' spiegato, si viveva meglio quando c'erano i dittatori. 

D. Saprai senz’altro che durante il governo Letta abbiamo avuto un ministro originario del Congo che però a molti è parsa avere a cuore più la rieducazione degli italiani rispetto al loro “razzismo” che, per fare qualche esempio, le varie iniziative ed azioni sui conflitti nel Kivu o i progetti di collaborazione con le popolazioni africane tese al loro sviluppo. L’ennesima occasione perduta per l’Africa?

R. Cécile Kyenge non viene dalla povertà, ha potuto avere (come dice lei) una borsa di studio per l'Italia con l'aiuto di religiosi cattolici come quasi tutti gli altri emigranti congolesi degli anni 80-90.
Credo che la linea da tenere come ministra le sia stata rigidamente dettata dal suo partito.
Kyenge aveva in testa un modello francese di società multirazziale e multietnica che però era l’effetto della post-colonizzazione. Forse lei, del resto di cultura francofona, ha trattato con un pizzico di senso di superiorità gli italiani che lei considerava più indietro dei francesi, quanto a formazione e accettazione del multiculturalismo.
Il problema e' stato di chi ha creato quel ministero e di tutta la frangia cattolica e piagnucolosa del PD, fissata con le opere buone, il volontariato, le ONG, che di comunista, socialista, o anche semplicemente di sinistra, trovo non abbiano proprio niente.
Questa impostazione caritatevole è antitetica rispetto a quella da assumere per risolvere veramente i problemi. Con la beneficienza e la carità non solo non si cambiano le cose, ma addirittura si ottiene l'effetto opposto, cioè di giustificare situazioni che hanno cause ben precise e che necessitano di interventi netti e decisi, non di volontariato e “poverini, poverini, diamogli qualcosa, che non hanno niente”.
La povertà non la sconfiggi dando pasti caldi e coperte e basta ma mettendo fine alle cause che la provocano. 

D. Accennavi prima al Kivu ed alle violenze, saccheggi e stupri che avvengono pressoché nell’indifferenza dei media occidentali, preoccupati più di salvare i migranti economici di questi civili inermi. 

In Kivu c'è' una miriade di gruppi, milizie, sedicenti eserciti indipendentisti che terrorizzano i civili, distruggono i villaggi, uccidono e stuprano, ma per prendere il controllo delle zone ricche di oro, diamanti, colta, uranio, ecc. o delle strade di transito dei convogli che li trasportano. Lo fanno per soldi, non per altro. Inutile mandar lì migliaia di volontari, caschi blu, le ONG, Emergency o MSF se poi non si BLOCCA la possibilità di far soldi per quei predoni. E lo si può' fare solo impedendo i traffici: coi controlli alle frontiere e la collaborazione dei paesi limitrofi, che però sono i primi a beneficiare di queste sanguinose estorsioni, perché i miliziani sono addestrati, armati e prezzolati proprio da paesi vicini come il Rwanda, che ha invaso nel 1998 il Kivu. Adesso, con i proventi di furti, massacri e orrori che hanno fatto milioni di vittime congolesi, il Rwanda, da paese piccolo e privo di risorse qual era, è uno dei miracoli economici del continente.
Col presidente Kagame, accusato di genocidio ma che e' il cocco degli Usa, indicato da Obama come un esempio per gli altri paesi del continente, di apertura verso il capitalismo ed il libero mercato.
Capisci, Barbara? Ma queste cose non si devono sapere. Meglio far credere che gli africani siano tutti straccioni, impotenti e rassegnati a fare la fila per salire sui barconi.

Il Kivu, in un tempo nemmeno lontano era una delle zone più benestanti dell'Africa Sub-sahariana. Clima di montagna, grandi laghi, terreno fertilissimo. Scuole, università, un luogo benedetto, di turismo, chiamato 'la Svizzera dell’Africa'.
Caduto Mobutu, il dittatore cleptocrate, si, ma padre della patria, nazionalista, con un esercito agguerrito, è subito scoppiata la guerra, sono arrivati i profughi e 6 milioni di vittime, perché gli amici degli USA potessero impossessarsi di enormi ricchezze.
Sto parlando della Repubblica del Congo perché conosco bene la realtà di quel paese, vivendoci. Ma ti garantisco che in linea di massima lo stesso copione si e' ripetuto ovunque. Tutte le guerre ed i cosiddetti 'conflitti locali', sono scoppiati dopo la fine dell'equilibrio che era dato dalla guerra fredda.
La globalizzazione economica e la colonizzazione culturale USA hanno sfasciato pure quel poco di senso nazionale che si era riusciti a costruire. Distrutti gli stati-nazione dei padri-padroni son pure rispuntati i conflitti tra etnie, clan, gruppi di religione o cultura diversa. Tutte cose aborrite dai movimenti indipendentisti ma aizzate dai colonizzatori.
La fine del nazionalismo ha coinciso con l'inizio del nuovo disordine africano. 

D. Cosa è mancato alle classi dirigenti africane per continuare il percorso di indipendenza? Penso a uomini come Leopold Senghor e Tomas Sankara.

R. Il processo di indipendenza non e' stato altro che la continuazione del colonialismo economico, con la fine di quello politico, e nemmeno in toto.
La cosa che ti dico subito e' che laddove c'era ben poco da sfruttare, come in Senegal o in Burkina Faso, si è consentito a quei paesi di esprimere classi dirigenti più indipendenti.
I movimenti popolari di liberazione non hanno però trovato sbocchi in programmi politici per il cambiamento strutturale. Patrice Lumumba, primo ministro eletto in Congo, voleva indipendenza ed autosufficienza per il paese e la redistribuzione dei proventi delle gigantesche risorse minerarie tra tutti i congolesi e uno STATO NAZIONALE forte e autonomo. L'hanno fatto fuori.
Come con il burkinabe' Sankara che, pur se il suo paese non era affatto ricco, aveva avuto il coraggio di attuare una forma di socialismo africano e di incitare gli altri paesi a seguire il suo esempio. 
Eliminato anche lui.

Perfino lo sfruttamento delle risorse da parte delle compagnie europee, insieme ai governi e classi dirigenti di quasi tutti i paesi, era fatto, fino agli anni '80, in un'ottica nazionalista. I famosi dittatori di quel periodo - da Mobutu a Houphouet-Boigny, Bokassa, Mugabe, ecc. erano si dei cleptocrati ma anche capi autorevoli dei loro popoli.
Bisogna pure dire che molti di questi dirigenti erano mantenuti al potere nell'ottica della guerra fredda. Regimi che garantivano fedeltà al blocco occidentale.
Nonostante lo svuotamento delle casse dello stato per arricchire la propria famiglia ed il proprio clan, questi dittatori favorirono lo sviluppo dei propri paesi.
Scolarizzazione di massa, costruzione di infrastrutture, ospedali, strade, anche industrie locali e nazionali furono il prodotto dell'orgoglio nazionale di quei regimi, corrotti si, ma come risultato di regalie che piovevano dai governi occidentali. La pioggia di aiuti alla cooperazione di quel ventennio non finì, comunque, solo nelle banche svizzere ma servì realmente a far progredire le condizioni del popolo, fino all’emersione di una vera classe media istruita, moderna, occidentalizzata, ma anche tradizionalista e attaccata alla propria identità. Una classe di impiegati pubblici e privati, commercianti, professionisti, imprenditori agricoli e commercianti, mentre il grosso della popolazione viveva ancora tranquillamente nelle campagne o nelle savane e foreste, come contadini, allevatori, pescatori, in condizione di autosufficienza. Il fenomeno della inurbazione di massa inizia solo negli anni '80. Finché' il nazionalismo, gli aiuti della cooperazione internazionale e la guerra fredda, hanno tenuto, non dico che vi fosse proprio benessere, ma per certo si stava molto meglio. Pensiamo ai paesi come l'Egitto, il Sudafrica, il Ghana. Nonostante tutti i problemi e il perdurare del colonialismo economico, la situazione era buona. 

...

Che dire? Sembra di ascoltare una storia già sentita mille volte e che riguarda anche il mondo occidentale ma non solo, l'intero pianeta, ormai. E' la shock economy che provoca la tragedia delle classi medie faticosamente emerse dalla distruzione della seconda guerra mondiale grazie a politiche economiche volte alla crescita ed all'espansione del benessere, pur se funzionali al consumismo, e improvvisamente dichiarate immeritevoli della propria agiatezza e spinte a combattersi le une contro le altre per arraffare gli ultimi brandelli di mantello di S. Giorgio. E' il meccanismo infernale del debito. Ascoltate Thomas Sankara, che sembra parli della Grecia e invece siamo negli anni ottanta, poco prima che lo assassinassero.


La cosa terribile è che i giovani africani cresciuti durante gli anni in cui le loro famiglie avevano potuto ottenere un certo benessere, come avete letto, grazie al “nazionalismo” e all'ombrello protettivo dell'anticomunismo, sottoposti ora alla nostra medesima cura letale, vengono sospinti in Europa dove altri giovani si trovano nelle medesime condizioni. L'esito di questo scontro non potrà che essere sanguinoso ma ai banchieri onnipotenti che ci osservano nelle nostre gabbiette di cavie con l'occhio dell'etologo, non importa.

A questo proposito, è necessario ricordare, come fa Alberto Bagnai in questo articolo, che molti dei paesi africani dai quali fuggono i migranti economici, come Guinea Equatoriale, Benin, Burkina Faso, Costa d'Avorio, Gabon, Guinea-Bissau, Camerun, Capo Verde, Comore, Malì, Niger, Republica del congo, Senegal, Togo, Ciad, Repubblica Centro Africana, casualmente utilizzano una valuta legata all'euro e, come noi in eurozona, stanno subendo politiche di austerità e manovre economiche procicliche che causano depressione, impoverimento delle classi medie e aumento dell’insicurezza nel futuro:
"Sì, il Mali appartiene all'UEMOA, che insieme alla CEMAC costituisce la "zona franco CFA", dove CFA stava una volta per "Colonie Francesi d'Africa", e oggi sta per "Comunità Finanziaria Africana". Del resto, anche "euro" sta per "marco". Una merda, anche con un altro nome, avrebbe lo stesso profumo... o era una rosa? Forse sto confondendo Shakespeare con Hugo, Giulietta con Cambronne, ma sto di fretta, scusate..." 
E' evidente che fuggire in paesi dove vi è austerità come nei paesi di partenza non può essere una soluzione. Ecco l'inganno perpetrato ai danni delle giovani generazioni africane. 

Non è solo però questione di stare sotto il tallone di ferro dei vincolismo monetario. In altri paesi come ad esempio l'Egitto, il Marocco e tanti altri, tutti quelli che vengono via via risucchiati nel gorgo della globalizzazione applicando la collaudata politica dell'Anschluss – la parola tedesca non è utilizzata a caso - ci pensa il FMI di Christine Lagarde a somministrare la solita medicina: aiuti in cambio di privatizzazioni selvagge e perdita di libertà. Prestiti a strozzo con l'imposizione del cilicio e della lettera scarlatta del debitore. Con l'austerità impugnata come arma infallibile di colonizzazione e depredazione della ricchezza altrui. Sia di quella consolidata, come nel continente europeo, che di quella faticosamente costruita in passato o ancora da realizzare, nel continente africano. In una parola, la globalizzazione, che è causa principale delle tragedie locali e di quelle globali, di quelle passate e quelle attuali sulle quali si innestano le varie istanze imperialistiche e mercantilistiche di poche nazioni privilegiate. La nostra amica F.K. non crede nei piani di ripopolamento dell'ONU, ma migrazioni che assumessero veramente dimensioni bibliche, destabilizzando interi continenti, sarebbero indubbiamente funzionali alla creazione del caos che giustificherebbe l'avvento del nuovo ordine mondiale (di cui hanno sempre parlato apertamente come di un loro progetto gli stessi membri dell'élite), il quale però avrà bisogno di ulteriore caos e quindi di ancora più ordine, fino al dominio assoluto ed alla realizzazione della dittatura mondiale. Fino a che, a causa della nota ed innata cagionevolezza di salute del capitalismo, per giunta oramai infettato dall'AIDS della finanza senza controllo che lo costringe a crisi sempre più frequenti, non vi sarà spazio per un vero movimento rivoluzionario che faccia avverare la profezia di Mr. Doom:
“I banchieri sono avidi – lo sono stati per 1000 anni. Dovrebbero esserci sanzioni penali. Nessuno ha pagato per la crisi finanziaria globale. Le banche fanno cose che sono illegali e nel migliore dei casi vengono schiaffeggiate con una multa. Se alcune persone finiscono in carcere, forse sarà una lezione per qualcuno – o qualcuno finirà impiccato per le strade”. (Nouriel Roubini, 2012)

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